
La calce è un materiale da costruzione molto antico. Sostituita per un lungo periodo da altri prodotti cementizi, oggi è tra i più apprezzati dal settore del restauro, dell’architettura compatibile e dell’edilizia di qualità. Ideale per decorare e proteggere i fabbricati, si ottiene dalla fusione ad alta temperatura di calcare, marmo, conchiglie e fascine di legna. Un tempo, la lavorazione della calce avveniva in forni rudimentali di pietra chiamati Carcare. Nel Cilento la memoria di questa tecnologia tradizionale è ancora viva e attuale. Non a caso, a San Giovanni a Piro si celebra ogni anno “Carcare accese”, un evento organizzato dall’Associazione Forum Italiano Calce e dall’Associazione Culturale A.U.S.S. a cui segue un corso teorico-pratico sul ciclo della calce, presenziato da docenti preparati ed esperti in materia.
Cosa sono le Carcare
Le Carcare, come già accennato, erano dei forni rudimentali dalla forma circolare, alti più o meno dai due ai tre metri, realizzati in pietra e con mura spesse rivestite con calce di scarto. Il diametro oscillava tra i sette e i dieci metri, mentre il fondo, di oltre un metro di profondità, era scavato nel banco roccioso e provvisto di un’apertura laterale per alimentare la fornace. Per produrre la calce, le fascine di legna (o sarcine) venivano disposte in modo circolare nella carcara e, su di esse, si adagiavano le pietre calcaree destinate alla fusione. Il compito, in genere, veniva affidato alle donne, impegnate anche nella raccolta delle sterpi. A questo punto, si accendeva il fuoco facendo attenzione che non si spegnesse, rimanendo attivo ininterrottamente per più di ventiquattro ore. Secondo alcune testimonianze fornite dagli scrittori del tempo, occorrevano almeno sessanta ore per ridurre le pietre in calce. Altri, invece, sostenevano che fossero necessarie circa cento ore, nonché quattro o cinque giorni. I calcinari (noti ai tanti con il nome di caucinari o di carcaluri) svolgevano dunque un compito molto arduo, stando a stretto contatto con fonti di calore eccessive (le fornaci raggiungevano temperature fino a 900 gradi) e con l’ossido di calcio che nel tempo avrebbe potuto causare reazioni allergiche, difficoltà respiratorie, orticaria, gonfiori del viso, delle labbra o della gola.
Come si formava la calce
Una volta spento il fuoco, la calce viva veniva gettata in una buca scavata nel terreno profonda un metro e mezzo, larga più o meno cinque e riempita con acqua. Il contatto immediato tra il materiale e il liquido creava una violenta reazione chimica che sfociava nell’ebollizione dell’acqua stessa e nella trasformazione dell’ossido di calcio in idrossido. Le pietre di conseguenza fondevano, perdendo gradualmente il loro calore e trasformandosi in una pasta simile al sapone.
Gli abitanti del Cilento non hanno mai dimenticato le tecniche di produzione della calce e le antiche Carcare tanto da tramandarle alle generazioni future tramite eventi organizzati che includono brevi corsi teorico-pratici indetti da insegnanti esperti con l’apporto di “vecchi calcinai”.