Per la prima volta nella storia recente, quest’anno gli ucraini festeggeranno il Natale il 25 dicembre e non il 7 gennaio, com’è tradizione consolidata per la Chiesa ortodossa locale fin dalle sue origini medievali. Una data diversa, decisa in modo repentino dal Parlamento di Kiev e prontamente avallata dal Presidente Zelensky, per segnare una netta e profonda discontinuità rispetto a usanze religiose e tradizioni popolari secolari. Come a marcare una volta per tutte la definitiva emancipazione spirituale e culturale dalla madrepatria e guida religiosa russa.
Celebrare la sacra Natività secondo il calendario liturgico occidentale, al pari della stragrande maggioranza dei paesi europei sia cattolici che protestanti, assume quindi un forte significato simbolico di affrancamento della Chiesa ucraina da ogni residuo legame gerarchico con il Patriarcato di Mosca e, in senso più ampio, segnala con chiarezza la ritrovata piena identità europea del popolo ucraino.
Quando si spezza un legame secolare
Per molteplici generazioni di credenti, la Chiesa ortodossa ucraina era stata sottoposta all’autorità dottrinale e amministrativa della Chiesa russa, della quale aveva pedissequamente importato e adottato nel corso dei secoli riti, usanze, tradizioni popolari e persino il vetusto calendario giuliano. Questo ancestrale legame di sudditanza religiosa si era in realtà già incrinato nel 2018-2019, quando la Chiesa ucraina aveva ottenuto dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli lo status di Chiesa autocefala, svincolandosi così dalla tutela del Patriarcato moscovita. Ma è stato soprattutto con l’invasione russa del febbraio 2022 che quel legame secolare si è definitivamente e drammaticamente spezzato.
Persino la componente minoritaria della Chiesa ortodossa ucraina che pure era formalmente rimasta fedele alla guida del Patriarca Kirill ha infatti in seguito preso le distanze, ripudiando esplicitamente il pieno sostegno da lui offerto all’invasione e alle sue tremende conseguenze umanitarie. La decisione di uniformare la data della celebrazione natalizia a quella della Chiesa cattolica e delle Chiese protestanti è solo l’ennesima e più recente manifestazione di questa frattura ormai insanabile con Mosca.
Perché il 7 gennaio?
È tutta fondamentalmente una questione di calendario. La Chiesa ortodossa russa e molte delle Chiese ortodosse orientali hanno infatti mantenuto fino ad oggi l’antico calendario giuliano, voluto dallo stesso Giulio Cesare nel 46 a.C. e perfezionato sotto Augusto. Questo calendario, però, non tiene conto in maniera sufficientemente precisa del moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole, quantificato in 365 giorni e 6 ore contro i 365 giorni, 5 ore, 49 minuti e 12 secondi del più accurato calendario gregoriano, introdotto nel 1582.
Da qui, nei secoli, l’accumularsi di uno sfasamento di ben 13 giorni tra le date delle principali celebrazioni religiose stabilite dai due calendari. Utilizzato pedissequamente anche in Ucraina finché l’ortodossia locale è stata strettamente sottomessa al Patriarcato di Mosca, oggi quel legame con un retaggio del passato sentito ormai come estraneo e opprimente si spezza quindi anche attraverso l’adozione della data occidentale per la più importante festività cristiana.
Riscoprire lo spirito natalizio
In questo drammatico Natale di guerra, con morte e devastazioni tutt’intorno, il messaggio universale di amore, pace e fratellanza portato duemila anni fa dalla nascita di Cristo a Betlemme è più vivo e attuale che mai. Nell’oscurità di un crudele conflitto fratricida voluto da Mosca che nega agli ucraini persino il diritto all’esistenza come popolo e nazione sovrana, gli ucraini vi trovano anzi lo slancio spirituale necessario per resistere al nemico, cementare la propria identità e aspirare con tenacia alla luce radiosa di un domani finalmente libero, unito e sereno.
Profondamente convinti, nel celebrare questo Natale 2023, che esso passerà certamente alla storia come l’ultimo trascorso in stato di guerra prima della agognata rinascita.