di Pasquale Martucci – L’Italia, e il Mezzogiorno in particolare, ha il primato dello spopolamento e dell’abbandono di paesi che conservano tradizioni e testimonianze sociali e umane, sono portatori di cultura, saperi e storia. Partendo da ciò, si può parlare di una costruzione identitaria. Giuseppe Galasso, con la metafora del palinsesto, affermava che c’è sempre una linea univoca e fondante, un’identità di base; poi ci sono aggiustamenti e ancoraggi a ciò che è precedente, con cambiamenti lenti che hanno avuto bisogno di tempo per affermarsi. (…) L’identità novecentesca è rurale: poi ci sono sviluppi e altre modalità che portano al cambiamento, oggi molto più rapido, che fanno pensare ad un’identità globale, oppure l’assenza stessa di identità, due facce della stessa medaglia. Ed allora, c’è il ripiegamento verso manovre conservative per fermare a tutti i costi il cambiamento, che appare inevitabile.
Ritenendo che non si possa negare che le cose mutino, la domanda è: quale cambiamento?
Non certamente quello verso una società che abbandona il passato e si lega all’idea di un mercato che tutto travolge nella ricerca di un progresso ad ogni costo, che segna sviluppi distruttivi. Alain Touraine, pur non negando il progresso, parlava di un’identità formata da risorse comunitarie che si sono preservate e che continuano ad essere mantenute dalla popolazione.
per approfondimenti: https://www.ricocrea.it/2023/08/01/cilento-la-costruzione-identitaria/