TRADIZIONI CILENTANE
di Renato Leproux – Il Cilento è la zona piu’ a sud della regione Campania e confina con la Basilicata. Sono tantissimi i legami che riguardavano gli antichi aspetti della vita quotidiana degli abitanti. Si trattava di tradizioni molto sentite fino a diversi anni fa, ma che attualmente, pur note e conosciute a tutti gli abitanti, sono considerate più come indicazioni folkloristiche che come vere e proprie regole. Alcune possono incudere timori o similitudini ai recenti fatti geopolitici che ci fanno inorridire, ma, in realtà, e’ la nostra storia e non possiamo prescinderne, nel bene o nel male. Queste, cosiddette regole, pero’, erano adottate con grande fatica da molteplici famiglie che dovevano stentare per anni ed anni.
I podcast di Guido Santangelo ep. 1
Gravidanza, nascita e parto
La nascita di un figlio maschio veniva sempre preferita a quella di una figlia femmina. Quest’ultima, infatti, comportava l’accantonamento di una rote, una dote, mentre un figlio maschio significava braccia che aiutavano nel lavoro nei campi e, con il matrimonio, all’arrivo di una sposa dotata di corredo e dote.
Il sesso del nascituro veniva in genere determinato, sebbene con ampio margine d’errore, osservando alcune caratteristiche, come la forma della pancia della futura mamma (piatta o a punta), bruciando un pezzo di carta e osservandone la presenza (maschio) o meno (femmina) di un residuo, oppure sommando le R presenti nei nomi dei genitori e nel mese previsto per la nascita: se pari sarebbe stata femmina, se dispari, maschio. Il parto avveniva in casa, aiutato dalla presenza di una mammàna, o, in sua assenza, da quella della mamma della partoriente e della suocera. Non dovevano essere presenti ragazze da marito, perché i dolori venivano visti come cattivo auspicio per i loro futuri parti.
Sul bambino venivano poi effettuate delle pratiche immediate: passato un dito in bocca per evitare che diventasse balbuziente, praticata una pressione sulle guance e sul mento delle bambine, perché venissero delle fossette, attribuito subito il nome e un battesimo casalingo, prima ancora che madrina e padrino portassero il bambino in chiesa, per assicurare il sacramento in caso di morte improvvisa del nascituro.
La scelta del nome seguiva delle regole che ancora oggi costituiscono un uso piuttosto diffuso: il primogenito, se maschio, prendeva il nome del nonno paterno, se femmina quello della nonna, sempre paterna, mentre il secondogenito prendeva il nome del nonno o della nonna materna.
Per i 40 giorni successivi al parto, la neo-mamma doveva purificarsi, rimanendo in casa e non frequentando la chiesa, in quanto la nascita di un bambino costituiva la prova dell’avvenuto atto sessuale.
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TRADIZIONI CILENTO
Fidanzamento e matrimonio
Tradizionalmente, il corteggiamento cilentano e il successivo fidanzamento non potevano prescindere dal consenso delle famiglie dei giovani coinvolti. Senza il via libera dei genitori, il fidanzamento e il successivo matrimonio diventava impossibile.
Ma come avveniva l’incontro tra i la futura coppia? Quali erano le occasioni?
Le feste, sagre ed eventi comunitari erano spesso l’occasione per i giovani di incontrarsi e socializzare. Durante queste feste, potevano formarsi nuove conoscenze e relazioni. I balli tradizionali, come la tarantella, diventavano spesso un modo per avvicinarsi. A seguire poteva avvenire lo scambio di regali, per esempio fiori o altri doni da parte del ragazzo, visite reciproche alle case delle famiglie coinvolte, controllate e supervisionate dai genitori, che servivano a consentire ai giovani di conoscersi meglio.
Anche le festività religiose e le processioni erano spesso occasioni in cui le coppie potevano socializzare.
Il corteggiamento era spesso un processo più formale rispetto ai tempi moderni. Era comune chiedere la mano della ragazza ufficialmente ai genitori e il fidanzamento era considerato un passo importante ed estremamente delicato prima del matrimonio.
In ogni caso, sopratutto per le figlie femmine, era il padre della ragazza a decidere se l’aspirante fidanzato fosse degno di ambire alla mano della giovane e il suo giudizio non poteva essere messo in discussione. Inoltre, nel caso di presenza di più figlie femmine, prima doveva fidanzarsi quella maggiore e poi le minori (e di questo vi posso garantire che ne ho pagato io le pene…).
Una volta approvato il fidanzamento, si procedeva con il fidanzamento ufficiale, la scelta del giorno del matrimonio, mai di Marte e mai di Venere (mai di martedì o venerdì), e mai di maggio, ma preferibilmente ad aprile o giugno. Seguiva la preparazione, da parte della sposa, del corredo, con una lista ben definita, condivisa con la famiglia dello sposo, di lenzuola, asciugamani, coperte, abbigliamento. L’arredamento della camera da letto era a carico della famiglia della sposa, mentre quella dello sposo doveva provvedere alla sala da pranzo e alla cucina.
Il festeggiamento, seguente alla celebrazione della cerimonia, prevedeva cavatielli con il ragù, la carne alla brace, prosciutto, soppressate, formaggio di capra o di pecora, e abbondante vino. Si terminava con i balli, che duravano per otto sere, fino alla domenica successiva.