Parola d’ordine: abbattere l’inflazione che continua a galoppare negli Stati Uniti ed in Europa. L’inflazione e’ un indicatore relativo, nel senso che indica quanto i prezzi sono cresciuti o diminuiti rispetto al mese precedente (inflazione congiunturale) o rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (inflazione tendenziale). Le banche centrali, come la BCE, utilizzano come strumento principale i tassi di interesse. In particolare, quando l’inflazione è alta aumentano i tassi di riferimento di politica monetaria e quando è troppo bassa fanno il contrario. Il problema si pone quando l’inflazione è in calo, oppure è troppo elevata.
Il rapporto di Confindustria 2022
Nell’Eurozona il tasso di inflazione è apparentemente simile a quello negli USA. A maggio 2022,
secondo le analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati Eurostat e Fed, si è attestato
all’8,6% negli Stati Uniti e all’8,1% nell’Area Euro (7,3% in Italia) (indice dei prezzi al consumo
armonizzato IPCA).
La dinamica dei prezzi è, però, strutturalmente diversa. Se si analizza il tasso di inflazione “core”
(che esclude energia e beni alimentari), quello europeo è più basso di oltre 2 punti percentuali: negli
USA a maggio era del 6,0%, nell’Area Euro del 3,8% (in Italia 2,9%).
Negli Stati Uniti la veloce riapertura delle attività economiche lo scorso anno, la politica monetaria
ultra-espansionistica e gli aiuti governativi, noche non solo hanno compensato le perdite di reddito
dovute al covid, ma anche permesso alle famiglie americane di aumentare sensibilmente il loro
reddito disponibile, hanno surriscaldato la domanda. Il tasso di disoccupazione è crollato
velocemente (a maggio 2022 si è portato al 3,6%, il livello più basso da febbraio 2020, quando è
scoppiata la pandemia) favorendo la crescita dei salari e dei consumi. La rapida ripresa
economica, in un contesto aggravato da una riduzione delle scorte a seguito dei lockdown e
con strozzature nelle catene globali di fornitura delle merci, ha causato un’ulteriore impennata
dei prezzi. La crisi energetica, nonostante l’accelerazione della crescita del prezzo del gas a
seguito del conflitto in Ucraina, ha impattato in maniera meno significativa per la disponibilità
di gas naturale nazionale e canadese a quotazioni notevolmente più basse rispetto a quelle
europee.
Nell’Area Euro, viceversa, lo scorso anno, i prezzi nel settore dei servizi sono rimasti stagnanti,
a causa di una ripresa meno sostenuta anche per le misure di contenimento pandemico più
restrittive, e i prezzi dei beni industriali e alimentari sono aumentati in misura minore rispetto a
quelli americani. Il prezzo dell’energia, a partire dalla fine della scorsa estate, è cresciuto,
viceversa, moltissimo, impennandosi, poi, con lo scoppio della guerra. Il contributo dei prezzi di
carburante ed elettricità rappresenta ora il 60% della variazione dei prezzi.
In questo contesto economico, mentre negli Stati Uniti la politica adottata dalla FED, che
prevede un robusto rialzo dei tassi di interesse, può rivelarsi efficace per raffreddare l’inflazione
perché aumenta rapidamente i costi di indebitamento per famiglie ed imprese riducendo la
domanda di beni e servizi, in Europa l’inflazione può essere influenzata solo parzialmente da unaumento dei tassi di interesse da parte della BCE. Questo perché la componente energetica
non è comprimibile (se non nel medio e lungo termine). Occorre quindi adottare una politica più
calibrata per evitare il rischio di una recessione economica.
Preoccupa, inoltre, un altro spread, ovvero il differenziale tra i prezzi al consumo e i prezzi alla
produzione (quelli che devono pagare le imprese per produrre) che sono balzati nell’Area Euro
a maggio al 37,2% mentre negli USA si attestano al 10,2%. Un’inflazione a monte così elevata
in Europa potrebbe trasferirsi anche a valle sui prezzi pagati dai consumatori, come sta già
avvenendo, almeno in parte.
Mentre la FED dichiara che “La guerra della Russia contro l’Ucraina sta causando enormi difficoltà umane ed economiche e sta contribuendo all’elevata incertezza globale. Il Comitato è molto attento ai rischi di inflazione”. In Europa a parlare e’ l’Eurotower che anticipa peraltro – “alla luce delle spinte inflazionistiche di fondo” – l’intenzione di “innalzare i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione di politica monetaria a marzo”. Mentre per il futuro l’Eurotower si limita a una generica intenzione di “valutare la successiva evoluzione della sua politica monetaria”.
Tutto questo influenzerà sicuramente la vendita degli immobili ed i mutui a tasso variabile risentiranno necessariamente delle manovre in atto, e non solo.