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Sapevate che la nostra regione si chiamava Campania Felix? Scopriamo le origini del nome della regione che oggi conosciamo come Campania
La regione del Sud Italia che ha per capoluogo la città di Napoli, ovvero la Campania, non si è sempre chiamata così. Infatti, facendo un bel rewind con il nastro del tempo fino al VII secolo, scopriamo che questo territorio allora veniva chiamato dai latini Terra Laboris olim Campania Felix che equivale a terra di lavoro un tempo regione fertile. In particolare, il termine felix, che in latino significa felice e/o fortunato, viene attribuito a questo territorio in quanto caratterizzato da una serie di fattori particolarmente positivi. Innanzitutto, al suo interno si trovano delle città enormemente sviluppate e benestanti, come Pompei, Sorrento e Neapolis (alias Napoli, l’attuale capoluogo della regione Campania), le quali costituiscono motivo di orgoglio e prestigio, oltre a rappresentare anche dei punti nevralgici per gli scambi commerciali nell’ambito della regione e al di fuori di essa. In secondo luogo, tutta l’area geografica di Campania felix è caratterizzata da un clima mite e da un terreno particolarmente fertile grazie all’abbondanza di acqua e questo grazie ai fiumi, in particolare il Volturno, che solcano questo territorio. Infatti, qui era possibile realizzare fino a quattro raccolti per ogni anno solare.
Il nome pre-romano “Oscor” è particolarmente interessante, poiché collega direttamente la regione con il popolo degli Osci, che l’abitavano. La trasformazione del nome da “Oscor” a “Campania” riflette un processo di romanizzazione e integrazione culturale che ha avuto luogo in molte regioni dell’Italia antica. L’ipotesi che il nome “Campania” derivi da “Capuani” (gli abitanti di Capua) e l’associazione con l’ager Campanus, come descritto da Livio e Polibio, illustrano l’importanza di Capua come centro culturale e politico della regione.
Plinio sente la necessità di elogiare la sua patria con un brano
diventato famoso, in cui si lodano le bellezze e le risorse di questa terra.
[Italia dehinc primique eius Ligures, mox Etruria, Umbria, Latium, ibi Tiberina
ostia et Roma, terrarum caput, XVI intervallo a mari. Volscorum postea litus et
Campaniae, Picentinum inde ac Lucanum Bruttiumque, quo longissime in meridiem ab
Alpium paene lunatis iugis in maria excurrit Italia. Ab eo Graeciae ora, mox Sallentini,
Poeduculi, Apuli, Paeligni, Frentani, Marrucini, Vestini, Sabini, Picentes, Galli,
Umbri, Tusci, Veneti, Carni, Iapudes, Histri, Liburni.
Nec ignoro ingrati ac segnis animi existimari posse merito, si obiter atque in
transcursu ad hunc modum dicatur terra omnium terrarum alumna eadem et parens,
numine deum electa quae caelum ipsum clarius faceret, sparsa congregaret imperia
ritusque molliret et tot populorum discordes ferasque linguas sermonis commercio
contraheret ad conloquia et humanitatem homini daret breviterque una cunctarum
gentium in toto orbe patria fieret. [40] Sed quid agam? Tanta nobilitas omnium
locorum, quos quis attigerit, tanta rerum singularum populorumque claritas tenet.
Urbs Roma vel sola in ea, … et digna iam tam festa cervice facies, quo tandem narrari
debet opere? Qualiter Campaniae ora per se felixque illa ac beata amoenitas, ut palam
sit uno in loco gaudentis opus esse naturae?Iam vero tota ea vitalis ac perennis
Plinio il vecchio
salubritas, talis caeli temperies, tam fertiles campi, tam aprici colles, tam innoxii
saltus, tam opaca nemora, tam munifica silvarum genera, tot montium adflatus, tanta
frugum vitiumque et olearum fertilitas, tam nobilia pecudi vellera, tam opima tauris
colla, tot lacus, tot amnium fontiumque ubertas totam eam perfundens, tot maria,
portus, gremiumque terrarum commercio patens undique et tamquam iuvandos ad
mortales ipsa avide in maria procurrens!
In definitiva, la citazione di Plinio non solo evidenzia la fertilità e bellezza della Campania Felix, ma anche la sua fondamentale importanza nella cultura enologica dell’antica Roma.
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L’introduzione dell’aggettivo “felix” da parte di Plinio il Vecchio è un aspetto particolarmente affascinante. Non solo sottolinea la fertilità e la bellezza del territorio, ma serve anche a distinguere la Campania Antiqua dalla più ampia regione inclusa nella nuova definizione di Campania, che comprendeva anche la Campania Nova (la Campania di Roma). Nell’antica Roma, la Campania Felix era rinomata non solo per la sua bellezza paesaggistica e fertilità, ma anche per la qualità superiore dei suoi vini. Questa regione era considerata una delle principali fornitrice di vini di pregio, apprezzati per il loro gusto e qualità. Il riferimento di Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia” sottolinea l’importanza e il prestigio dei vini campani nel panorama enologico romano. I Romani attribuivano grande valore al vino e alla sua qualità. Nella società romana, il vino era non solo una bevanda quotidiana, ma anche un simbolo di status sociale, cultura e raffinatezza. La Campania, con il suo clima ideale e terreni fertili, offriva condizioni perfette per la viticoltura, producendo vini che erano molto richiesti, non solo a Roma ma in tutto l’impero.
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Tra i vini più famosi della Campania Felix vi erano il Falerno, il Massico, il Greco di Tufo e il Fiano, tutti noti per le loro qualità distintive e apprezzati dalle élite romane. Questi vini erano spesso citati da poeti e scrittori, diventando simbolo dell’eccellenza enologica romana.
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Il connubio fertilità-cultura-potere economico è dunque il motivo per cui lo storico greco Polibio decreta come particolarmente felice e fortunata la regione che conosciamo con l’attuale nome di Campania.
Però, con il termine neapolis, che significa città nuova, a quei tempi si volevano indicare anche tutte quelle situazioni da cui scaturisce un significativo sviluppo urbano ed economico del territorio.
Il concetto di città nuova è dunque da intendersi quale sinonimo di sviluppo, nuovo benessere.
Infatti, nel corso dei secoli la Campania Felix allarga notevolmente i propri confini fino ad arrivare a inglobare anche parte del Lazio e del Molise.
L’espansione geografica, accompagnata da una grande stabilità sotto il profilo sia politico sia economico, rendono la Campania Felix un territorio estremamente fortunato e fertile, al punto che la denominazione Felix si è tramandata fino ai giorni nostri.
La terra di lavoro ovvero Campania felice che in latino si traduce con Campania Felix va ad identificare l’area geografica che, dopo la disfatta di Capua, acquisisce il nome di Campania prendendo origine dal termine campani, che a sua volta nasce da capuani (gli abitanti di Capua).
Contemporaneamente, nasce l’esigenza di identificare con precisione questa area geografica così fortunata e fertile, pertanto, abbiamo l’introduzione del nome di Campania Felix per opera dello scrittore, filosofo e studioso Plinio Il Vecchio, il quale vuole assolutamente distinguerla dal resto dei territori circostanti. Ed è così che la campania di Capua, che comprende l’ager capuanus, cioè la vasta pianura che si trova attorno al letto del fiume Volturno, viene battezzata Campania Felix per omaggiare le peculiarità di ricchezza, fertilità e fortuna di quest’area.
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Quando trattiamo un argomento, anche così delicato, che potrebbe nuocere alla nostra Regione, lo facciamo a ragion veduta. Nella foto sopra (presa da wikipedia, la terra dei fuochi) è rappresentata una nube densa di fumi velenosi che non solo ha inquinato l’aria, dissipandosi nell’aeree, ma noi (anzi io) di notte, in prossimità di Teverola (Caserta), percorrendo l’asse mediana, di ritorno da un servizio notturno, mi sono schiantato ad oltre 100 all’ora sull’adiacente guardarail per evitare il peggio, distruggendo l’auto. In curva mi sono trovato davanti al nulla e, l’unica cosa che potevo fare era frenare leggeremente ed appoggiarmi all’unica cosa che vedevo: il muretto di cemento con il predetto guardarail. Io e la mia compagna ci siamo salvati cosi…
Poichè abbiamo parlato di filosofi non possiamo non citare la filosofia di Derrida: le figure del cieco.
Dello sforzo filosofo e il gesto dell’artista: gesta di ciechi
Il logos si struttura quindi come inestricabilmente collegato alla visione, ai suoi dati e ai suoi inganni, istituendo la cosiddetta metafisica della presenza e della rappresentabilità. Esaurire la metaforica del visibile è pressoché impossibile, ma questi esempi bastano per farci quantomeno intuire come la ricerca di Derrida si muova lungo tutta la storia filosofica che è la nostra storia. Detto ciò, il nostro concentrarci sulla positività della visione non può esaurire questa storia, ma ne costituisce solo una parzialità, una prospettiva univoca del reale che non tiene conto di un altro accesso al mondo, la cecità, la quale sembra essere tutto fuorché un modo per poter acquisire o dominare il reale, bensì pare essere il frutto di una natalità lapsaria o di un incidente menomante come quello che invitò lo stesso Derrida ad occuparsi di questo lato complementare del visibile in Memorie di cieco. Ma qual è la tesi di Derrida riguardo l’esperienza della cecità? A cosa mira? Potremmo riassumerla preliminarmente dicendo che la cecità, l’accecamento e l’invisibilità sono il contraltare necessario per poter parlare della visibilità, in una sorta d’innesto del campo di visibilità a partire dai punti ciechi che concretamente e metaforicamente occupano la nostra esperienza mondana. L’obiettivo di Derrida è quello di decentrare l’analisi dal campo filosofico a quello artistico-figurativo per poter rivalutare non solo le modalità dell’arte stessa ma anche quelle che costituiscono l’autocomprensione della disciplina filosofica. Derrida dichiara in un’intervista: «Hanno questo in comune il disegnatore e il cieco: afferrano o figurano il visibile con la loro mano, a tentoni. Le loro rispettive cecità diventano la condizione di un’altra maniera di “vedere” il mondo» (Derrida 2016, 154). E più avanti: «Il cieco che tende la mano in avanti per orientarsi, per non cadere è anche una metafora dell’artista, la cui mano brancola nell’invisibile da cui sorgerà il disegno» (Derrida 2016, 153). (fonte: https://ritirifilosofici.it)
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Forse piu’ che parlare di Terra dei Fuochi, dovremmo parlare di Terra dei Ciechi. Sarà il Cilento ad appellarsi nuovamente dell’aggettivo Felice?