Il Senato voterà il disegno di legge sull’autonomia differenziata, fortemente voluto dal ministro Roberto Calderoli. Si tratta di una riforma importante che modificherà il rapporto tra Stato e Regioni, introducendo maggiore autonomia per queste ultime. Vediamo nel dettaglio cosa prevede. Il ddl Calderoli, come accennato, vuole dare attuazione all’articolo 116 della Costituzione, consentendo alle Regioni che lo richiedano di ottenere maggiore autonomia in alcune materie, che vanno dalla sanità all’istruzione. Anche se, verranno prima fissati i Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), cioè gli standard minimi dei servizi che devono essere garantiti ai cittadini su tutto il territorio nazionale. Solo successivamente le Regioni potranno avere maggiori competenze. Nel merito, la legge prevede che sia la Regione stessa a fare richiesta di ulteriore autonomia, sentiti gli enti locali. Dopo la richiesta, si aprirà una trattativa con lo Stato della durata minima di 5 mesi, al termine della quale verrà siglata un’intesa tra le parti. L’intesa avrà una durata massima di 10 anni, rinnovabile o interrompibile con un preavviso di almeno 12 mesi.
Prima del trasferimento delle competenze, verranno determinati i Lep attraverso decreti legislativi, soprattutto per materie come sanità, istruzione e tutela dell’ambiente. Inoltre, verrà istituita una Commissione paritetica Stato-Regione-Enti locali che dovrà stabilire il passaggio delle risorse necessarie all’esercizio delle nuove funzioni regionali. Il finanziamento avverrà tramite la compartecipazione delle Regioni a tributi erariali. Le competenze potranno poi essere trasferite anche a Province e Comuni. Sono previsti vari meccanismi di monitoraggio e verifica, oltre a misure per garantire la perequazione tra Regioni ed evitare squilibri.
Insomma, l’autonomia differenziata modificherà profondamente il rapporto tra i diversi livelli di governo, dando più spazio alle Regioni. Questo potrebbe comportare maggiore efficienza nella gestione di alcuni servizi, ma anche aumentare le differenze tra territori. Il dibattito politico è accesso. La maggioranza sostiene con convinzione la riforma, ritenendola necessaria per il rilancio del Paese. L’opposizione invece è molto critica, temendo che possa mettere a rischio l’unità nazionale e aumentare le disuguaglianze tra Regioni ricche e povere.
Anche molti costituzionalisti hanno espresso perplessità. Il rischio è che, in mancanza di sufficienti fondi perequativi, si creino cittadini di serie A e di serie B a seconda della Regione di residenza. I Lep, il vero cuore della riforma, dovranno essere definiti con grande attenzione.
Cosa cambierà per i cittadini con l’autonomia differenziata? Dipenderà molto dalla Regione di appartenenza. Alcune Regioni virtuose potrebbero offrire servizi migliori, grazie alla maggiore autonomia gestionale e finanziaria. Ma senza un’adeguata perequazione, il rischio è che aumentino le differenze tra Regioni ricche e povere.
Molto importante sarà il ruolo degli enti locali. Le competenze potranno essere trasferite non solo alle Regioni, ma anche a Province e Comuni. Questo potrebbe avvicinare i centri decisionali ai cittadini. Ma Comuni e Province sono pronti a gestire servizi complessi come sanità e scuola?
In definitiva, i dubbi sono ancora molti. L’auspicio è che l’iter parlamentare della legge, tra Senato e Camera, consenta di migliorarne i contenuti, definendo in modo chiaro ed equo i Livelli Essenziali delle Prestazioni. Solo così l’autonomia differenziata potrà essere un’opportunità di crescita per il Paese e non un rischio di aumento delle disuguaglianze.