di Pasquale Martucci – A partire dagli ulitimi giorni di maggio, e fino ad ottobre, il Santuario di Novi Velia attende i pellegrini che su pullman ed auto proprie, tranne l’ultima ascesa a piedi, si accingono a rendere omaggio alla Madonna. Giungono in tanti, con le cente o cinte, composizioni floreali che hanno alla base tante candele decorate con nastri ed arricchiti a volte da spighe di grano. Si tratta di candele che assumono la conformazione di barca, di castello o di uovo, a seconda della tradizione del paese. Hanno un’armatura in legno e pesano più di trenta chili. Le portano le donne, a volte lungo un percorso che dura ore e senza chiedere mai il cambio. Sono loro che hanno seguito la preparazione e affrontato l’onere economico. La persona che faceva un voto di solito recava quella impalcatura in testa ed a volte camminava scalza in segno di devozione. Tutta la gente sapeva che era stata chiesta una grazia, ma non conosceva il contenuto della richiesta al Santo.
Per entrare nel significato rituale, il termine cinto potrebbe derivare dal verbo latino cingo, cinctum, cinto, con il valore funzionale delle candele che sono disposte intorno al telaio, per l’appunto cingendolo. Esiste anche un altro significato, che troverebbe una spiegazione nella cultura greca e romana. Le ragazze greche, cosi come quelle romane, portavano il cinto, una fascia attorno ai fianchi, che veniva sciolta dal marito nella notte nuziale. (cfr.: L. Mazzacane, L.M. Lombardi Satriani, “Perché le feste”, Savelli 1974)
A Novi Velia, la centa deve essere portata da una ragazza nubile il cui nome è sorteggiato la vigilia del pellegrinaggio alla Madonna del Monte. La tradizione vuole che la ragazza trovi marito entro l’anno. La donna che, a nome di tutta la “compagnia” recava i doni al Santuario, doveva portare il cinto, cioè doveva essere cinta, proprio il segno della sua verginità. Non per nulla di una donna in stato interessante si dice che è incinta, cioè: “non cinta”. In alcuni casi, le cinte o cente avevano forma fallica, erano degli obelischi allungati, che dovevano proprio evocare l’atto del fecondare. (P. Martucci, “Le comunità cilentane del novecento. Le storie e i racconti attraverso il linguaggio della cultura popolare”, Centro Cultura e Studi Storici Alburnus, 2005).
Dove la strada asfaltata lascia il posto alla via in pietra ben tenuta che porta alla Madonna è il punto d’arrivo, lo slargo della croce che obbliga ai tre giri prima dell’ultima salita. Un altare primitivo era utilizzato per ospitare le cente, u manto ra Maronna, utilizzato anche per pratiche taumaturgiche: i bambini con il mal di pancia giravano nove volte intorno allo pseudo dolmen per provare sollievo.
Presso quella croce non è insolito imbattersi in una Compagnia che si inerpica sulla salita che li porta al Santuario, cantando in onore della Madonna: Siamo venuti e siamo tornati / da questa Madonna, nostro avvocato / Si grazia nun vulìmo / a chesta Maronna nun currimo. / Si grazia l’ama vuluto / è sta Maronna che c’aiuta!
Qualche anno fa, ho aspettato una Compagnia proveniente da Capaccio, che aveva alla sua testa una piccola donna che trasportava sul capo la centa e faceva gesti di devozione. La sua centa era piccola ma bella. Aveva le sembianze della madre di cristo: i ceri delineavano da lontano le sue fattezze. Una piccola statua della Madonna con il Bambino, il manto azzurro, ceri e rose la rendevano elegante.
Il gruppo cantava forte: canzoni religiose di fede vera, anche se si trattava anche di inni moderni ed attuali che lasciano sullo sfondo i segni e le attestazioni più tradizionali. Nel gruppo, formato da una cinquantina di persone, c’erano in prevalenza persone anziane, una di quasi novanta anni. C’erano persone che pregavano con devozione: Ave Maria … ave Maria… / Tra i cori angelici… / Mamma dolcissima, nome d’amore / tu sei rifugio al peccatore. / Tra i cori angelici… e l’armonia… / Ave Maria, ave Mariaaaa! Quando andremo in Paradiso, / grideremo: – viva Maria! / Grideremo: – viva Maria! / Viva lei che ci salvò. / EVVIVA MARIA!
Una signora mi raccontò di venire da oltre cinquant’anni, insieme ai suoi figli.
Mi disse:
– La Madonna qui è una devozione così bella. E poi non c’è sfruttamento. Vieni qui per il Santuario. Si vende qualche immaginetta, è pur vero. Ma tu ti concentri e ti apri solo alla Madonna.
– I giovani?
– Io li coinvolgo sempre. Là c’è un signore di novant’anni!
Gli dice: – E Vecienzo, nun è venuto? … m’ha ditto che venìa!
Al Santuario, alcune costruzioni ospitano il rettore e le suore. Vi è il luogo dedicato ai bisogni e la terrazza che permette la veduta della famosa pietra: a ciamba re cavallo, dove i pellegrini gettano oggi monete, quando in precedenza lanciavano nove sassolini (il nove come i mesi del periodo di gestazione), per propiziare una felice gravidanza. Su quel monolite se le piccole pietre rimanevano in equilibrio significavano eventi fausti per la vita delle persone. Oggi si gettano euro e centesimi su quella pietra. Qualcuno furbo ne lancia una manciata per consentire almeno ad una moneta di depositarsi sulla roccia.
Dietro il Santuario nascosto è il luogo degli ex voto. Sono stati aboliti, ma qualcosa ancora resiste: foto di bambini e giovani, chiavi, ciucciotti, rosari.
Nel Santuario, i pellegrini già giunti sono disposti in fila per omaggiare l’icona della Madonna. Un’altra fila è in attesa della confessione del rettore. Tutti pregano seduti ai banchi ed attendono l’arrivo delle Compagnie e delle cente, cinte.
Suonano le campane e all’interno della chiesa tutti in fila aspettano di baciare la Madonna.
Dopo aver compiuto i tre giri intorno al Santuario, la Compagnia di Capaccio si dispose all’accoglienza del rettore del Santuario. La centa fu deposta davanti al luogo sacro. Il rettore la benedisse insieme ai fedeli e li invitò a raggiungere l’altare. Pregava ed i pellegrini rispondevano.
La piccola donna di Capaccio piangeva ed aveva un volto triste e segnato dalle lacrime. In ginocchio percorse tutta la chiesa con la centa sulla testa.
Il pathos era evidente, molti si sporgevano dai banchi per osservare quello spettacolo.
Scatti di foto e videoriprese non si sprecarono. É un rito di altri tempi, lontano dal contesto odierno, dal bisogno di soddisfare altre e più futili esigenze.
All’altare, la centa fu consegnata alla Madonna ed il rito fu compiuto.
I pellegrini ora pregavano in silenzio, ringraziando per la giornata.
Fuori qualcuno scherzava ed addentava un panino. Qualche altro guardava con trasporto la fidanzata. A gruppetti parlavano in attesa di altre Compagnie.
Più in basso altri gruppi con il fiatone si accingevano ad ascendere al Santuario. Sui loro volti il piacere di recarsi in pellegrinaggio e la gioia di trascorrere una giornata diversa.
Non furono le ultime persone della giornata.
(L’evento è riportato integralmente nel volume: P. Martucci, “Cilentanità. La ricerca dell’identità cilentana nelle storie e racconti di vita vissuta”, Centro Cultura e Studi Storici “Alburnus”, 2008, pp.101-110)