di Pasquale Martucci – Questo santo è importante soprattutto per la sua presenza in alcune località del territorio salernitano, che conservano reliquie. Giuseppe Barra, nel suo saggio: Il culto di San Vito in provincia di Salerno (in: La Cappella di San Vito a Montecorvino Pugliano, a cura di Generoso Conforti), compie proprio un excursus per sottolineare la presenza del santo ed esplicitare il trasporto e la manifestazione delle forme devozionali. Basti immaginare che, soprattutto in passato, in molte località, in occasione della festa di San Vito, una processione lunghissima conduceva la statua del Santo presso le case dei fedeli che con trasporto manifestavano la loro religiosità popolare intorno ad un culto che ha antiche origini.
San Vito è venerato anche come san Vito di Lucania o san Vito martire (Mazara, III secolo – Lucania, 15 giugno 303). Fu un giovane cristiano che subì il martirio nel 303 d.C., durante la persecuzione di Diocleziano. Secondo una passio del VII secolo, il fanciullo siciliano Vito, rimasto orfano di madre, fu affidato alle cure della nutrice Crescenzia e dal pedagogo Modesto, che lo fecero convertire alla fede cristiana. Dopo aver operato molti miracoli, Vito sarebbe stato arrestato insieme ai due tutori dal preside Valeriano su istigazione del proprio padre.
I tre subirono molte torture: la leggenda vuole che vennero immersi in calderoni pieni di pece bollente, ma rimasero illesi; furono quindi gettati in pasto ai leoni, ma le bestie divennero mansuete; i torturatori non si arresero e li appesero ad un cavalletto, ma mentre le loro ossa venivano straziate, la terra cominciò a tremare e gli idoli caddero a terra. Comparvero degli angeli che li liberarono e li trasportarono presso il fiume Sele. Durante il viaggio, pare che fossero nutriti da un’aquila che portava loro cibo e acqua.
Essi ormai sfiniti morirono il 15 giugno 303.
Lo studioso Francesco Attanasio (in: “Sapri rouinata”) sostiene che il martirio in Lucania è l’unica notizia attendibile su San Vito, mentre per tutto il resto si finisce nella leggenda.
Il suo culto si diffuse in tutta la Cristianità: colpiva la giovane età del martire e le sue doti taumaturgiche; è invocato contro l’epilessia e la corea, che è una malattia nervosa che dà movimenti incontrollabili, e per questo è detta pure “ballo di san Vito”; poi è invocato contro il bisogno eccessivo di sonno e la catalessi, ma anche contro l’insonnia, i morsi dei cani rabbiosi e l’ossessione demoniaca. Protegge i muti, i sordi e singolarmente anche i ballerini, per la somiglianza nella gestualità agli epilettici.
Il simbolo che lo rappresenta è la palma del martirio e il calderone dentro il quale avrebbe subito il martirio. È anche considerato protettore degli animali e del raccolto: in alcune località si svolgono durante la sua celebrazione la benedizione del pane e le tradizionali fiere.
È tradizionalmente rappresentato in compagnia di due cani.
Presso il fiume Sele dove fu sepolto sorge una chiesa a lui dedicata: “San Vito al Sele”. In questo territorio si conservano toponimi e luoghi a lui intitolati per testimoniare il primitivo culto che Vito ebbe in queste zone.
Si festeggia il 15 giugno, in particolar modo a Capaccio, Sapri e Sanza, ma anche a Campora, Caselle in Pittari, Felitto (Pellegrinaggio presso la cappella a lui dedicata), Montecorice, Policastro Bussentino, Sassano, Stio, Tortorella, Ostigliano, Matonti, Valle Cilento.
Nella Chiesa Madre dei Santi Apostoli Pietro e Paolo in Pisciotta, si venera una insigne reliquia del sangue di San Vito, custodito in un’ampolla di vetro. Quel sangue si liquefa ogni anno in occasione della festività del martire, solitamente durante la processione in suo onore che fa tappa al pozzo a lui dedicato, dove si narra che il santo abbia fatto il miracolo di riportare l’acqua potabile alla popolazione.
A proposito di reliquie, Luigi Tancredi, nel volume: “Sapri giovane e antica”, sostiene che Don Gennaro Eboli, nel 1820, ottenne da Papa Pio VII la reliquia di San Biagio, mentre in precedenza aveva ricevuto quella di San Vito, patrono di Sapri.
Riporto una testimonianza raccolta qualche anno fa, che attesta la dedizione al santo:
«San Vito fu martirizzato e lo stesso Dio vorrebbe distruggere il mondo. La vendetta però è superata grazie all’intercessione del santo che ferma il Signore e salva gli uomini da un altro diluvio». (Pietro Masi, intervista, Bellosguardo 11.03.2000)
Un racconto mostra l’attaccamento della popolazione per la cappella di San Vito a Postiglione:
«Il prete di Controne si recava nella cappella di S. Vito, diceva messa, benediceva gli animali e ritornava al proprio paese. Giovannina Avallone fece aggiustare la porta della cappella e il cancello: era una donna, morta nel 1988, molto legata a quel luogo sacro e a quel santo. Il prete la chiamò e le disse: “Perché nun ‘nce fai un locale re vuttaro?”. “Come faccio a fare ciò in un luogo sacro?”, incalzò Giovannina. La donna si affrettò a chiudere a chiave la porta della cappella. Il prete quando si accorse del fatto chiese: “Chi ce l’ha fatta?”. “So’ stata io, la cappella di S. Vito non può essere una bottega!”, esclamò Giovannina. Passò del tempo, Giovannina mi chiamò: “Solo tu puoi dopo la mia morte custodire la cappella!”, e mi consegnò le chiavi. Quando il prete se ne accorse disse: “E chi ha dato la chiave a questa?”. Giovannina rispose: “Solo lei può custodire il luogo sacro!”. Io vado ogni giorno in chiesa, apro la cappella, accendo i ceri, vedo che è tutto in ordine, lascio il luogo aperto però con il cancello sbarrato e la sera chiudo tutte le imposte. Il caso strano è che la sera prima di morire Giovannina mi chiamò e mi consegnò le chiavi: la notte morì». (Maria Carmela Giordano, intervista, Postiglione, 09.04.2000)
Pasquale Martucci Ricocrea.it