Con l’approvazione dell’ultima Legge di Bilancio, però, qualche risultato si è riuscito ad ottenerlo. L’aumento dei costi della vita e i livelli raggiunti dall’inflazione hanno spinto l’esecutivo ad agire per fronteggiare la situazione, specie in favore di fasce sociali più deboli.
C’è da premettere, però, che le misure adottate sono transitorie. Gli aumenti pensionistici previsti, infatti, saranno validi al momento solo per 13 mensilità.
Procediamo con ordine e cerchiamo di capire meglio in cosa consiste e in che misura è stato fissato l’aumento delle pensioni minime.
Pensioni minime: di che si tratta?
Il trattamento pensionistico minimo è una misura introdotta nel 1983 con un fine ben preciso: consentire a tutti i cittadini di godere di una vita dignitosa.
Su questo punto, però, occorre fare una precisazione. Si cade infatti facilmente nell’errore di confondere la pensione minima con l’assegno sociale. Si tratta di due misure distinte, così come diversi sono i loro percettori.
La pensione minima, secondo quanto disposto dalla la Legge n. 638/1983, che disciplina la materia, si sostanzia di fatto in una integrazione del trattamento minimo pensionistico, riconosciuta a tutti coloro che percepiscono una pensione (di qualsiasi tipo, comprese anche Opzione Donna o quella di reversibilità) di importo basso. Questo significa che chi percepisce una pensione di importo inferiore a quello stabilito dalla legge ha diritto ad un aumento, pari nel 2022 a 525,30 euro, tale da integrare la somma fino al raggiungimento della soglia minima fissata.
Alla pensione minima, pertanto, ha diritto solo chi ha già avuto accesso alla pensione di vecchiaia, ossia ha raggiunto almeno i 10 anni di contribuzione e i 67 anni di età.
Non basta, però, raggiungere i requisiti ed percepire una somma pensionistica al di sotto della soglia di legge. La pensione minima, infatti, non è riconosciuta a:
tutti coloro che vanno in pensione con il sistema contributivo (tutti quelli, cioè, che hanno iniziato a versare i propri contributi a partire dal 1996);
a coloro che aderiscono alla Gestione Separata o scelgono l’opzione contributiva per la liquidazione della pensione.
Come avviene per ogni tipologia di erogazione pensionistica, anche questa è soggetta a perequazione economica, il meccanismo per cui l’importo erogato viene rivalutato ogni anno sulla base delle variazioni del costo della vita come rilevato dagli indici Istat.
Fino al 1 gennaio 2023 l’integrazione al trattamento minimo era di 525,38 euro. Cosa cambia con l’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2023?
Aumento pensioni minime: le novità
Con l’approvazione della Legge di Bilancio è passato anche l’emendamento che autorizza un aumento delle pensioni minime.
Dal 1 gennaio 2023 e per le successive 13 tutti i percettori di pensione aventi diritto all’integrazione, riceveranno un assegno pari a 563,73 euro, con un incremento di 38,25 euro rispetto ai 525,38 del 2022.
Si tratta, come chiarito, di una misura varata al fine di contrastare l’inflazione, che ha avuto una ricaduta diretta sull’aumento dei prezzi dei beni e dei servizi. Si cerca in tal modo di rispettare il principio base della Legge n.638/1983, ossia quello di assicurare a tutti uno stile di vita dignitoso.
Un’eccezione è rappresentata dagli over 75, per i quali è previsto un aumento dell’assegno pensionistico pari a 600 euro, con un aumento al lordo pari a 74,62 euro.
Aliquote 2023
Allo stesso scopo per cui è stato varato l’aumento delle pensioni, la nuova Legge interviene anche a ridefinire le aliquote di rivalutazione delle pensioni.
Con gli aumenti così fissati, le pensioni minime riescono a recuperare il 100% dell’inflazione, prevista per il 2023 al 7,3%.
Un aumento pieno è calcolato solo per le pensioni di importo inferiore a 4 volte il minimo.
Le altre percentuali di rivalutazione della pensione sono state così fissate:
85% fino a 5 volte il minimo;
53% fino a 6 volte il minimo;
47% fino a 8 volte il minimo;
37% fino a 10 volte il minimo;
32% oltre 10 volte il minimo.
Assegno sociale e pensione minima
Molto spesso si confonde la pensione minima con l’assegno sociale. Si tratta in realtà di due istituti diversi. Come abbiamo avuto modo di vedere, la pensione minima spetta a chi ha già avuto accesso alla pensione, a prescindere dalla tipologia e dai contributi versati.
L’assegno sociale, invece, spetta a chi in vita sua non ha mai versato contributi.
Un ultimo aspetto, riguarda il calcolo dell’integrazione.
Per determinare il suo ammontare si esegue un’operazione molto semplice. Si sottrae al minimo annuo fissato dalla legge il reddito personale o coniugale del pensionato (costituito da tutti i redditi utili ai fini IRPEF) . Il risultato così ottenuto viene poi diviso per 13, corrispondente al numero delle mensilità.
La cifra che ne deriva costituisce l’importo da integrare a quello già percepito dal pensionato.
fonte: PosizioniAperte.com